14 febbraio 2014

Prepararsi alla Lucha

Erano mesi che avevo adocchiato il mercatino di Lucha Y Siesta. 
Lucha Y Siesta è il nome ironico e, a parer mio, geniale di una struttura occupata in cui è stata creata una Casa delle donne. Si trova a Roma in via... Lucio Sestio, of course.

Come mio solito, prima di decidermi a farlo sono passati mesi, ma dopo il mio ultimo mercatino natalizio - che non è andato poi così bene- ho fatto tutta una serie di cose che non sembro nemmeno io. 

In sequenza:
ho seguito un seminario sull'autoimprenditorialità;
ho aperto un negozio su Etsy;
ho iniziato a seguire tutti i bandi pubblici per finanziamenti alle nuove imprese;
ho iniziato a studiare un cd della Camera di Commercio per le donne che vogliono aprire un'attività;
sono andata da un consulente della Camera di Commercio per i finanziamenti di imprese a fondo perduto;
mi sono iscritta ad un corso professionale di sartoria.
Ma, soprattutto, invece di restare a sognare di aprire un laboratorio tutto mio, ho iniziato a pensare che questo sarà il mio futuro. E lo sto costruendo. 

Così mi è tornata la voglia di fare un saaacchissimo di cose. Ah dimenticavo: ho iniziato a fare la maglia! Sì, avevo giurato fedeltà all'uncinetto - Non avrai altro attrezzo all'infuori di me - ma mi è scappato. Solo per completezza, perchè oltre a questo ho imparato a filare la lana a mano - grazie a Petra conosciuta a Maggio alla rassegna Tramando Tessendo - e a fare il feltro, anche se devo ancora impratichirmi.

Appena ho padroneggiato in modo incerto il dritto ho fatto questo, per me




Si capisce che è uno scaldacollo con mezzi guanti? Lo adoro, ci ho passato su tutto il viaggio da Roma a Controguerra: tre ore e un quarto per fare 10 ferri. E tutti al dritto!
 Il bello è che poi mi sono pure accorta di aver sbagliato la forma e l'ho praticamente disfatto quasi tutto. La storia dei miei lavori... Io a Penelope je magno 'n testa! 

In preda ad un delirio di onnipotenza, ho voluto esagerare con una sciarpa. Niente di che, apparentemente, ma con un filato per ferri nr. 3 (abbastanza fino insomma) ci ho messo un bel po'. 

Ferro 1: Dritto-dritto-rovescio-dritto, dritto-dritto-rovescio-dritto....

Ferro 2: Dritto-dritto-dritto-rovescio, dritto-dritto-dritto-rovescio..

E dopo due settimane e poco più....


Notate la faccia allucinata? Ad un certo punto la odiavo, ma poi è stato love.

Tra l'altro il punto che ho usato è una costa, o meglio, una finta costa, una mezza costa... la mezza costa Inglese. Pensate che durante il ventennio fascista, il signor Mussolini proibì di chiamarlo così per via del riferimento ad un paese straniero. E che noi non disponevamo di un italico appellativo per un simile lavoretto da donnicciole? In quel periodo si è chiamato punto Mussolini. Un grande successo, infatti adesso si chiama di nuovo mezza costa Inglese e così sia.







 
In vista del mercatino, come dicevo all'inizio - ma riesco sempre ad allontanarmi dal punto da cui ero partita?! Non c'è speranza - ho fatto qualcosina in più, ma con l'uncinetto, sia chiaro, non ho troppo tempo a disposizione.


Un berretto con delle noccioline cicciottine. Ne ho anche una versione beige e nera. 
Visto che oltre che da modella, mi faccio pure da tester per quello che faccio, e visto che il cappellino mi piaceva tanto, appena l'ho finito sono uscita e l'ho indossato. 
Sarà per questo che sono stata la causa di un quasi tamponamento. Un tipo con una Smart per guardarmi è quasi andato a sbattere contro la macchina che gli stava davanti. Quindi una cosa è certa: i miei cappelli fanno girare la testa!





Altri cappelli li ho fatti tempo fa

























Ma visto che dobbiamo pensare anche ai piedi, mi sono profusa in queste ballerine da casa.

Passo indietro. In realtà queste sono la seconda versione. Come ho già detto, spesso mi accorgo di aver sbagliato e disfo tutto per rifare. Avevo realizzato delle pantofole a punta. Troppo a punta, non mi convincevano. Così ho ripreso i fili e ho disfatto proprio tutto, per rifarle da capo. Ho ripensato anche la forma. Adesso sono tonde. Evviva. E hanno anche l'antiscivolo sotto. Profescional!

Ora basta eh! Per vedere il resto temo che dovrete venire di persona...
 
Mercatino di Lucha y Siesta, domenica 16 Febbraio dalle 10 in poi. Via Lucio Sestio 10 - metro A Lucio Sestio















Il Manifesto di Birba

Voglio provare a tradurre questo post che rappresenta il senso di ciò che ho iniziato a fare da qualche tempo. Si tratta della recensione di un libro che personalmente non mi sembra così illuminante.

"Ohmiodioilconsumismodeipaesiricchigenerapovertònelterzomondoelarobaprodottaacostibassièscadente!" (siete riusciti a leggerlo?)

"... Ma va?" 

Però so benissimo che prendere se stessi come metro del resto del mondo non va bene, a parte il peccato di narcisismo, mi convincerei di una realtà che non esiste. Tant'è vero che, se mi guardo intorno, il mondo va al contrario di come vorrei e spesso mi sento come Don Chisciotte, però donna e con un gatto al posto del ronzino. E poi perchè non sarei il metro, semmai il metro e mezzo...

(Grazie all'autrice Feisty Red Hair)

IPERVESTITI
La scomoda verità sullo shopping a buon mercato

Ho appena terminato un libro che mi ha colpita. Si intitola "IPERVESTITI La scomoda verità sullo shopping a buon mercato" dell'autrice Elizabeth L. Cline, che esplora i profondi, oscuri problemi dietro alla scadente "fast fashion" che domina l'industria dell'abbigliamento di oggi. Il libro esamina i grandi negozi al dettaglio come Zara, H&M, Forever 21, Old Navy, Target e Walmart, e di come la vendita di ciò che è essenzialmente vestiario usa e getta abbia orribili conseguenze per il mondo intero.


Come prima cosa, c'è la questione del consumismo Nordamericano. Dato che i vestiti costano poco, tutti comprano tanto. La qualità non importa in fondo perchè, quando una t-shirt nuova da 15 dollari si sforma nella lavatrice o si autodistrugge dopo averla indossata poche volte, può essere facilmente rimpiazzata da qualcosa ugualmente a buon mercato. Così le persone continuano a comprare, accumulare, e gettare via. Non ci sono incentivi all'aver cura di qualcosa perchè non costa praticamente nulla, e inoltre non avrebbe senso perchè non c'è nulla di cui avere cura! Gli abiti praticamente si rovinano per mancanza di qualità.

Secondo punto, il problema della produzione delocalizzata. La ragione per cui i negozi possono vendere tali vestiti a poco è perchè questi vengono prodotti oltreoceano a  basso costo. Fino al 1997, il 50% dei vestiti indossati dagli Americani erano ancora made in the U.S. Oggi soltanto il 2%; e tuttavia, il tasso di disoccupazione è più alto che mai. Secondo Cline, se gli Americani spendessero l'1% delle loro entrate disponibili per i prodotti nazionali, ciò creerebbe 200,000 nuovi posti di lavoro ogni anno. Ma siamo troppo attaccati ai prezzi bassi per desiderare di pagare di più per la produzione nostrana, e rivenditori locali e designer più piccoli non hanno proprio i mezzi per competere con quei prezzi.

Terzo, le fabbriche di vestiti sono luoghi orrendi dove spesso gli operai guadagnano meno del salario minimo.
Sono essenzialmente schiavi dell'industria, senza possibilità di guadagnare abbastanza per dar da mangiare alle loro famiglie e pagare l'affitto, lasciati da soli nel mettere qualcosa da parte per il futuro o per l'istruzione dei loro figli. Ma le imprese non aumentano gli stipendi perchè i consumatori non vogliono pagare di più per i vestiti. È un circolo vizioso.

Il libro mi fa essere felice di vivere in una piccola città in cui ci sono pochi grandi negozi, il che rende più semplice evitare la tentazione di comprare. Spiega anche le esperienze frustranti che ho avuto spesso con i vestiti - jeans strappati la prima volta che li ho messi, magliette che si sformano, tessuti che si infeltriscono, scarpe che stazionano permanentemente nella scarpiera perchè troppo scomode da indossare ecc. Mi sono davvero sentita meglio dopo aver saputo che si tratta di una questione di qualità e che non è detto che debba sempre essere così.
Ho apprezzato la proposta di Cline per un movimento  "vestiti slow" (simile allo slow-food). Le persone hanno bisogno di disintossicarsi dalla dieta fast fashion. La soluzione è sia iniziare ad investire nell'abbigliamento ideato e realizzato localmente ( sì, investire - perchè si tratterà di una maggiore spesa economica, ma sarà probabilmente molto più bella, che si indossa meglio e più durevole), o iniziare a cucire, rammendare, e reinventarsi i vestiti da soli. Mi piace soprattutto quest'ultima idea, anche se non  so nulla di cucito. Saper cucire è favolosamente liberatorio e utile, proprio come saper cucinare.
 Raccomando questo libro,  ma dovete essere preparati ad iniziare a guardare le etichette dei capi,  i tessuti e gli stili sotto una nuova inquietante luce.


20 agosto 2013

L’insostenibile leggerezza del tessere*


*L’autore di questo testo considera tessitura anche il lavoro ad uncinetto :-p

Non sono una campionessa di buonumore. L'umore cattivo non causa solo problemi sociali, non è come avere l'alito cattivo, che lo sentono tutti tranne te; l'umore cattivo ti viene addosso. Ti annoi, ma non vuoi fare niente, hai mille e uno idee ma non sai realizzarle, vuoi parlare con qualcuno, ma non sopporti avere gente intorno.

Dunque indosso questa guaina e la indossavo anche tempo fa, quando in un momento di pseudo ribellione verso me stessa, nelle ore vuote, ho deciso di disegnare. Non essendo capace che a ricopiare, ho trovato un disegno e mi ci sono messa di impegno. Alla fine, contemplando un soggetto incompleto - un terzo praticamente usciva fuori dall’A4- ci ho scritto sopra il titolo: trionfo dell’apatia. Avevo appena comprato dei pennarelli nuovi, peccato.  Ho aperto il cassetto per seppellirli pessempre e vedo un gomitolo verde con un uncinetto conficcato. Un verde terrificante. 

Flashback (scuola americana di studi letterari)
Analessi ( Genette, scuola europea di studi letterari)

Durante l’università passavo le vacanze di Natale a studiare e non c’era periodo migliore. Le ore vuote non esistevano, ci infilavo dentro anche dei libri da leggere per piacere mio. Ore piene e disordinate.
Per come la vedo io, il posto migliore dove studiare non è seduti alla scrivania in camera, o almeno non lo è sempre. Ci provavo, ma era come avere spine di opunzia gigante nelle chiappe. Preferivo la poltrona del salotto, con le gambe incrociate e la matita in mano. Nella poltrona accanto spesso sedeva mia madre, che si lamentava di non vedere bene mentre lavorava un bordo all’uncinetto. L’ho sempre vista fare cose tipo cucire gonne e pantaloni, lavorare con i ferri… Ho pensato che in fondo avanzava uno spazio piccolo nelle mie ore, in cui un uncinettino fino fino entrava perfettamente. Magari uno 0,75.
Ho iniziato con dei centrini. Sinceramente non credevo si potesse fare altro: bordi e centrini. Così ho iniziato. Poi le vacanze sono finite, ho dato l’esame, ho ripreso le lezioni e le ore si sono gonfiate di cose così tanto da far schizzare via l’uncinetto.


Rieccoci.
Da dentro il cassetto il verde terrificante non è riuscito a spegnere quel barlume di voglia di fare che si era acceso non so come. Ho ripreso quell’uncinetto che non tenevo in mano da anni e ho iniziato a fare catenelle e maglie a caso, tanto per riprendere confidenza con la situazione. Sembrava che avessi mani troppo grandi per tenere oggetti così piccoli, non sapevo se fermare il filo con l’indice o col medio. Una catenella mi veniva larga, l’altra più stretta e tutte le maglie di una stessa fila le facevo con diverse tensioni. Il solito caos, nemmeno sottolineare il libro che studiavo mi veniva bene. Ma alla fine ci ho pure preso la lode.

-        -  Signorina, nel suo quaderno ci sono appunti di tre materie!
-        -  Ehm, sì Prof…
-        -  Ma  il suo esame è da trenta.

(È la solita analessi che non profuma di madeleine, lasciatela lì)

Era un periodo di ansia, oltre che di malumore, ed essendo trapelata la notizia dell’uncinetto R. mi disse “Sai che i lavori manuali, radicando la mente nel hic et nunc, allontanano i pensieri dal futuro scaricando l’ansia?”
(R. è quella persona che tutti dovremmo avere accanto in certi momenti del nostro percorso attraverso il cosmo, soprattutto per mandarti affanculo hic et nunc o quando te pija a male, in ordine sparso)


Data astrale  Agosto 2013.Voglia di fare zero. Nemmeno un conato di iniziativa. "Quello che devo fare"
Mostro alla figlia di mio cugino una rivista di pupazzi. 

MI FAI UN GUFO?




5 agosto 2013

Una questione di pezzi

Torno, ci sono.
Avevo messo da parte gomitoli, uncinetti e mercatini per dedicarmi ad un altro progetto. Lo faccio spesso in fondo.
Anche qui, come in tanti lavori, si trattava di realizzare una forma alla volta e unirle insieme. Io ho pazienza per queste cose, per esempio mi piace fare puzzle, anche se l'ultimo che comprai anni fa è rimasto da allora senza i pezzi esterni. Sì, mi ero concentrata e avevo realizzato il soggetto, perché era più semplice trovare gli incastri visti i profili delle cose riprodotte. Poi inizia la parte più complicata, perché lascio alla fine la cornice, che in questo caso era fatta di alberi e cielo, con quadratini tutti dello stesso colore e senza facili appigli per riconoscere distintamente le combinazioni giuste. Ora è tutto chiuso nel cellophane tipo Laura Palmer.
Insomma ero intenta a far incastrare fondamentalmente due pezzi. Tutto liscio all'inizio, poi gli intoppi. Ok, cambio, disfo qualcosina e ricomincio. No, sbaglio direzione, forse è meglio in quest'altro modo... ecco... pare che va adesso. Invece no!

Fra - Mmm... forse non ce la farò...
Personaggio immaginario fatto apposta per questo dialogo scemo - Dai dai dai! Mica vorrai mollare tutto. Quando il gioco si fa duro...
FRA -...Telo... ?!
Pifapqds- Macchexxczzyayyayhdbgefyygfdjhvfoidhvuhdi$$£"$%&/(ici!!!!!
FRA - Escuuuuss...

Ma poi niente. Senza capo né coda, il progetto ha abbandonato me...


pezzi che non posso riappiccicare





Per fortuna ho un mucchietto di cose iniziate e mai terminate.

#1


#2

#3


#1
Un amigurumi. Un pupazzetto. Nonostante si possa credere - io almeno lo credevo prima di iniziare a farli - che siamo complicati da realizzare, in realtà in un paio d'ore sono pronti. Questo prevede anche l'uso di ritagli di stoffa, quindi per me che tengo il filo in mano come una zappa sarà un po' un impazzimento. Per ora l'ho lasciato lì, perché è di lana e francamente a 40° anche no...

#2
Una borsa a rete in canapa, filata da chissà quali mani segnate dal lavoro duro dei campi del sud, presa attraverso un vecchietto che in quel di Pisoniano ha fondato il museo della canapa. LA borsa...
E' il progetto che in fondo rappresenta l'anima di tutto quello che sto - o che non sto ancora- facendo. Ne parlerò in un post specifico, che è meglio.
Dunque la borsa è una sacca a rete (archetti archetti archetti di catenelle), che ho deciso di foderare per darle struttura e per fare in modo che non perda l'eventuale contenuto. L'ho ripresa, ho deciso di non applicare manici di legno o altro, ma di realizzarli con il filo stesso, che rivestirò di stoffa, data la consistenza dura della canapa. Devo procurarmi perciò una stoffa adatta. Anche te, borsa, aspetterai un po'...

#3
Esagoni colorati. Mi ero fermata quando ne mancavano 5. Poi li avrei uniti per farne una borsa. Credo sia l'accessorio più sensato da realizzare, la borsa intendo. In fondo, non ci vuole poi molto se ci si mette costantemente; e una donna, se vede un banchetto di borse in un mercatino, vuoi che non si fermi a guardare?
In un giorno ho terminato i 5 pezzi mancanti. Altre 48 ore e avevo rifinito tutti i bordi. Da ieri ho iniziato a cucirli insieme e va...

Insomma "La 1, la 2 o la TRè?"

La trè...

13 gennaio 2013

Riprendere il filo - prima parte

Leggo l'ultimo post: 7 Ottobre 2012...

Di nuovo, le cose di tutti i giorni - "le cose" è proprio brutto - gli accadimenti  prendono il sopravvento, prepotenti, sulla scrittura. Qualcuno li chiama accidenti, come quelli che  mando spesso alla vita.

È già complicato mettere in fila gli eventi mentre li stai vivendo e assaporando, figuriamoci quando in mezzo ci si mette il tempo, che poi si vede a pranzo con la memoria  per cercare di riordinare un cassetto di calzini spaiati come i ricordi.
Passate circa cinque righe, ancora non ho detto che finalmente ho iniziato a fare mercatini, che poi sono il senso di tutto sto blog. Sì l'ho fatto, meglio, ne ho fatti due.

Il primo era troppo allettante per chi, come me, ha il portafoglio che, quando si apre, cigola per il tempo passato senza venire aperto. Sono corta di braccia stile cassettone Luigi XV, una piccola Ebenezer Scrooge con i leggings. Insomma, una tirchia irredenta.
Dicevo che il primo mercatino al quale ho partecipato era allettante, perché la partecipazione era gratuita.

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Queste righe le ho scritte più o meno un mese fa. Sanno già di forte, come un cacioricotta che si è fatto una settimana in frigorifero, vedendo sfilare cespi di insalata riccia e yogurt. Poi dici che uno va in puzza...
A questo punto, rileggetevi le prime 5 righe; io vi riassumo l'ultimo paragfrafetto: ho fatto due mercatini, il primo era gratuito e mi ci sono buttata a pesce (femmina, naturalmente).
Era in occasione di Halloween, ricorrenza che fino allo scorso anno ho schifato, criticato e ignorato, in sequenza. Naturalmente ora, dovendo vendere, non mi sono fatta scappare l'occasione di creare zucche, mostri vari ecc ecc all'uncinetto. Commercianti: una faccia, una razza.


Prima di farle non lo sapevo, ma ora posso dirvi che queste zucchette hanno pure un nome specifico, Jack O' Lamp, pare napoletano invece è ammericano USA awanasgheps. Contenti loro, scavano zucche belle grosse per farne lampade dai ghigni spaventevoli, invece di mantecarle con un bel formaggio a pasta filante in un risottino che te lo dico a fa'. Sono gap culturali incolmabili e io personalmente, dopo essere andata da quella parte del ponte, me ne torno di qua a fare il risotto.
Mi sono documentata, mica no, quindi alle zucche ho fatto seguire due mummiette e dei fantasmini, tanto per rendere temibile il mio banchetto, che, tra l'altro, doveva pure avere un mood dark-gothic-black. Vabbè, ho messo un drappo nero, ma soprattutto una candela inquietante a forma di coniglio verde acido.
 Volete vedere una mummia più da vicino? Parliamone, secondo me è un capolavoro. 


Il banchetto si presentava così, nella penombra del locale. Ho realizzato diverse collane e due paia di guanti traforati, per il resto avevo la borsa Granny di cui ho ampiamente blaterato e il mio pezzo forte, lo scialle. Naturalmente questi non li ho venduti. 


Tutto questo non sarebbe stato possibile se qualcuno di biondo e sinuoso non mi avesse aiutata. La mia cara figlioccia di capoeira, giovane uncinettatrice/sferruzzatrice come poche, mi ha dato due mani e anche un cervello fresco, senza i quali è probabile che sarei andata in tilt come un flipper. Grazie Isa.         

P.S.
Questo post, cioè, la seconda parte, è stata scritta il giorno del mio compleanno, 11 gennaio 2013, ma essendo io quella mattina in ritardo - ma dai?!- non ho avuto tempo di terminarlo e postarlo.
Tanto per essere chiari.